mercoledì 19 gennaio 2011

NUOVI RACCONTI

IL GIORNO PRIMA

Si, si ti dico, trascorso in modo ordinario, il giorno prima. Sveglia alle sei, come al solito e, come al solito, immediata visita in bagno. Barba, intanto; quindi  ripiegamento in camera per disinserire le sveglie. Corsa in cucina. Biscotti, caffelatte, marmellata, yogurt. Fumata quasi per intero una sigaretta. Poi, a ruota,  camera, armadio, ricambio. Ritorno in bagno. Doccia, velocissima. Vestizione ed elenco sussurrato delle cose da prendere. Portafogli, telefono, orologio, documentazioni varie, chiavi. Confezionamento dei rifiuti, deposizione accanto alla porta d’ingresso. Poi  i saluti, frettolosi.  Ci sei,fin qui ?  Chiamo l’ascensore che non e’ quasi mai al piano. E sono gia’ fuori, parcheggio, auto. Una ventina di chilometri, assonnato, infreddolito, distratto, non arrivo per primo, ma faccio in tempo a non arrivare per ultimo. Saluti approssimativi. Scrivania, e si comincia, o quasi. Di seguito il primo  vero caffe’e un’occhiata al giornale. Dopodiche’ lavoro,  lavoro, facezie, lavoro, facezie, telefono, facezie, lavoro. Pausa. Pranzo con i colleghi. Bar tavola calda.  Scelta del primo o del secondo, o del piatto composito del giorno. Riesame del giornale. Smorfie Del caso. Commenti, sdegnati come al solito. Ieri anche quella notizia tremenda, ma ogni giorno ce ne sono. Corrispondo il dovuto, rivolgo una parola alla cassiera. Ritorno alla scrivania. Lavoro, lavoro, programmazione del lavoro successivo, telefono, elenco mentale delle pratiche da trattare l’indomani, promemoria del caso. Fine. Esco che e’ praticamente sera. Parcheggio. Auto. Ieri mi pare stessi fischiettando, persino. Mi segui ? Altri venti chilometri, ma frazionati. Sosta dal droghiere per quelle due cosucce che mancano, dimenticate durante la spesa settimanale. Parcheggio. Casa. Anna. “Tutto ok ?” ,” tutto quasi bene?” “Si, si, in ufficio un dramma dietro l’altro, le cose peggiorano di giorno in giorno…ma che si mangia?”. Bagno, abiti da casa, cena. Tv forse, se non c’e’ altro di meglio da fare. Tutto normale fin qui, tutto nell’ordinario, no ? Anche gli sbadigli. Che arrivano regolarmente. Reciproci. Bagno, una seconda volta, infine letto. Fin qua tutto nella norma, confermi? Tutto regolare no? Tutto a posto, ti pare? E questo e’ stato. Mi hai capito? Nessun segno premonitore, nessuna avvisaglia, niente di niente. E questo fino a ieri. Si, si  ieri, ti dico, il giorno prima che accadesse. 

PROTESA

Si, si, cosi’ ci piaci. Truccata e, profumata. Smagliante complice della nostra umana arrendevolezza eppure sdegnosa, talvolta. Un ineludibile conforto per le nostra anime bisognose. Un magnete che attira i nostri sguardi verso il tuo profilo migliore, avvolto in abiti sgargianti. Esclusiva e perfetta di fronte alla nostra mediocrita’, Quanto dobbiamo apparirti dimessi e trasandati. Quanto esitanti ed incerti nel rispondere ai tuoi perentori appelli. Consapevoli anche noi di non meritarti quasi mai. Consci del nostro essere prodotti infimi e inaffidabili. Sicuri che non saremmo mai scelti da te. Quanti battiti di palpebre ci hai strappato ? Quante  dichiarazioni iperboliche ? Ci mettiamo in mostra anche noi, vedi, nel nostro piccolo, certi che la selezione ci riguardi tutti. Confortati dall’accoglienza che ci riservi. Che ci riservate. Rassicurati dal vostro ammiccare quando ci protendiamo verso di voi, vi afferriamo e poi, con gesto risoluto, vi conquistiamo. E ci tuffiamo con voi.nel carrello.


IMPREVISTO

Avevamo fatto le cose per bene, Rossana ed io. Conosciuti giovanissimi, sani tutti e due, e innamorati. Sposati quasi subito, arrivati in anticipo a tutti gli appuntamenti, bruciate tutte le tappe, carriere comprese. La casa, poi la villa. Aiutati, certo, ma neanche troppo. Gravidanza perfetta, venuta al mondo senza problemi. I complimenti del personale medico.I tratti del viso che si intuivano gia’ belli e alteri fin dai primi mesi. Poi e’ cresciuto, mentre noi riprendevamo tante abitudini di prima. Lo osservavo. Lo sentivo parlare.. Le prime parole, le frasi smozzicate. Infine l’esposizione compiuta di pensieri o di quel che di essi si puo’ riferire. E da li’ ho cominciato a soffrire. Mi dicevo che non poteva essere. Che avrei dovuto intervenire, farci qualcosa. E ci ho anche provato.Ma non e’ servito a niente. Tuttavia l’ho cercato inutilmente, nel tempo, in quello che diceva, quel minimo di senso logico, quel ritaglio di buon senso o di originalita’. Non pretendevo ragionamenti complessi, non mi interessava rintracciare nelle sue frasi un po’ di me, men che meno aspiravo ad avere il genio in casa. E ho continuato a cercarla, negli anni, quel po’di coerenza logica, o di profondita’, senza esito.Ora quando parla faccio finta di niente . Se sono nell’altra stanza e mi giunge lo stesso il suono della sua voce, mi tappo le orecchie. Nelle cene conviviali, quando c’e’,  mi industrio in mille sotterfugi per far si’ che parli ilmeno possibile.
Andava tutto bene. Ora e’ tutto in vacca.Quando esce e permane per un po’ fuorimi sembra di rivivere. Ma le volte che sta in casa e parla, non lo sopporto.Non sopporto di avere un figlio imbecille.



ZORRO E’ MALATO

Ora ne approfittano, vogliono essere sicuri che capiamo veramente. Lavoriamo tutto il giorno come schiavi, senza vedere un peso e la notte ci tocca sopportare le incursioni dei loro scagnozzi.E non ci vanno leggeri. L’altro giorno, alla seconda frustata, Ramon ha avuto un gesto di ribellione. Cosi’ l’hanno preso, legato ai cavalli e squartato vivo,mentre noi eravamo obbligati ad assistere. E a lungo, perche’ hanno impiegato vecchi ronzini che non ne volevano proprio sapere di muoversi. Hanno usato i piu’ vecchi, per non stancare gli altri. Si prendono tutto, dano fuoco alle nostre capanne, ai miseri oggetti che ci rimangono. Violentano le donne. Adesso siamo in mano loro. Adesso si fanno forti. Ora che Zorro e’ malato.



IO TI CREDO

Mi hai portato in Kenya, eri proprio deciso a costruirla quella scuola. Ne parlavi tanto quando ci vedevamo al Circolo, la sera. Cibo e istruzione, dicevi. Aiutarli qui poveracci a camminare con le loro gambe. Mi hai sottoposto il progetto, corredato di foto e diagrammi. E mi hai ringraziato dopo che ti ho avallato la richiesta di finanziamenti. Con molto calore. Abbracciandomi persino, una volta, al termine di un tuo piccolo comizio. Quando mi hai coinvolto direttamente nell’impresa mi sentivo felice, quasi realizzato. Me ne sono rimasto al mio posto,ma l’hai capito, dentro di me gongolavo. All’organizzazione del viaggio ho poi pensato io. Un esborso limitato, dopotutto. Poche ore di volo, qualche chilometro in pullman. Bastevoli, tutavia, ad intaccare la tua determinazione. Sei….siamo arrivati al villaggio gia’ un po’ scocciati, credo di poterlo affermare. Alberi rinsecchiti, terreni riarsi, campi ormai esausti e zanzare ovunque. Gli operai erano in pausa e in numero minore del previsto. Mancavano i soldi, dicevano.Gli ingegneri non si facevano vedere da tempo. La sera dopo non ho neanche dovuto chiedertelo. Mi e’ bastato guardarti per capire. Nessun ripensamento, mi hai detto. Ma vedi, quell’altra questione, il museo artistico di Arbus, esige tutto il mio impegno, specie ora che le elezioni sono alle porte, capisci? Si’, io credo di capirti. Ma e’ un mondo feroce, la’ fuori. Un mondo di illazioni ed antipatie immotivate, in cui l’intraprendenza e’ sovente confusa con l’opportunismo. Io so che fai del tuo meglio, che da anni non ti concedi un momento tutto tuo, che non riesci a placare la tua irruenza, contenere la tua disponibilita’ per il prossimo, anche a costo di essere giudicato incoerente. Io ti comprendo. Io ti credo.Te l’ho ripetuto ancora l’altro giorno quando ci siamo ritrovati al Club, quello che hai aperto due mesi fa. Si, si quello nuovo, con le porte scorrevoli e l’insegna grande e luminosa. Con le luci intermittenti.


ALFA 2

Non esiste dentro e fuori su Alfa due. Difficile spiegare. Non c’e’ propriamente un sopra e un sotto e, se vuoi saperlo, nemmeno un avanti e un  indietro, perche’ non ci sono distanze da coprire. Mi chiedi se si respira. In qualche modo si’, ma in maniera diversa. Non e’ propriamente un atto volontario, una attivita’ riflessa, ma qualcosa di diverso. Mi esprimerei in questi termini: si e’ respirati. Bisogna andarci, per comprendere a fondo. Gli oceani di plasma, il flusso elettronico conformato, la non luce, vorrei descriverteli, ma e’ impossibile. Come ? Ah, si’, si scopa su Alfa 2. Normalmente.


RIEVOCAZIONE

Alla fine ci siamo andati. Su indicazione di Ermanno ed Elena, che abbiamo incontrato dopo pranzo nella piazza del paese. Non ci tenevo molto, ma un po’ di colore, dopotutto, non guastava. Cosi’ ci siamo avviati con loro. C’erano le solite bancarelle di cianfrusaglie pseudo storiche, riproduzioni in plastica di picche, fucili ad avancarica, cartine dell’epoca ed ornamenti militari, che abbiamo accuratamente evitato. Poi, prima di vedere i soldati, si sono sentiti i tamburi e, al margine del campo, hanno fatto capolino gli stendardi. Verdi da un lato e neri dall’altro. Ci siamo seduti sulla riva erbosa, a lato della strada, chiusa al traffico per l’occasione, meditando sull’eventualita’ di un gelato. Ma era tardi, stavano gia’ apparendo i soldati, nelle loro uniformi strette e sgargianti. Si ordinavano su due fronti contrapposti, marciando sul posto.  Una volta sistemati i cannoni ed i cavalli si era a posto, pensavamo. La camionetta col telo mimetico non si capiva cosa c’entrasse. . Si era messa in moto e ne erano scesi militari equipaggiati di tutto punto. Scambiavano ordini. Si indirizzavano gesti, indicazioni. Uno si mise a gridare in direzione di un mezzo blindato che stava sopraggiungendo dall’estremo opposto della strada. E altri, sebbene ci fosse il sole a dipingersi il viso di nero. E tutti quanti, infine, cominciarono a sparare. Ovunque.

I LADRI

Ti telefonano nel cuore della notte, all’Hotel Vattelapesca, dove alloggi per le vacanze. “Scusi l’ora, vorremmo disturbarla il meno possibile.”Intendiamo comportarci bene”. Il risveglio non e’ dei migliori, certo, ma scacci il disappunto e cerchi di concentrarti. Avresti potuto cascare peggio. “Dunque, si’, l’apparecchio X lo vedete, e’ vicino al tavolo del soggiorno, e non ci sono problemi.” “Sicuro? Ha un aspetto asettico ma potrebbe nascondere motivi di affezione”.”No, e’ nuovo,  non abbiamo avuto il tempo di, ma non e’ troppo grosso?.” “Lo prendiamo allora.” “Si, poi ci sono il lettore X , il video Y, l’impianto Z, ma le istruzioni, sono difficili”.Cogli una voce in sottofondo, qualcuno contraddistinto da modi meno urbani rispetto all’interlocutore, che esorta a sbrigarsi” Si, ecco, non voglio farvi perdere tempo, i valori sono nella cassaforte, la combinazione e’ X, ma….” “Si’?” “Ecco, mi dispiace, c’e’ poca roba.” “Qualcosa di particolare che desidera…?.””L’orologio del nonno, placcato oro, lo riconoscera’ senza che glielo descriva” “Siamo qui per questo. Allora, c’e’ altro ?” “A posto.” “Le auguro buonanotte.””Buonanotte e, e’ stato un piacere”.

martedì 18 gennaio 2011

NOTA SULLA PROPRIETA' DELL'OPERA SCRITTA

Nota dell'autore. Ogni testo contenuto in questo sito, salvo diversa indicazione, e' da ricondurre all'opera di Paolo-Prateria, che ne e' l'autore. Qualora si desideri utilizzare in tutto o in parte tale produzione, menzionandone la provenienza, si prega di richiederne autorizzazione via Mail.La produzione letteraria in argomento non riveste fini di lucro. Grazie.

sabato 15 gennaio 2011

RACCONTI DODICI (CREDO)

IL FUTURO

Avanziamo lentamente, premuti contro la paratia in plexiglass, compressi nella calca, sudati e nervosi prima di scorgere, oltre l’ennesima cortina di corpi, le indicazioni che cercavamo. Intorno una teoria di modellini, plastici, tour virtuali e hostess piu’ o meno vestite, a corredo dei vari ambienti.. Evitiamo un successivo mare di depliants, esposizioni pubblicitarie, progetti piu’ o meno avveniristici. Rasentiamo i punti di ristoro. Giulia e li’ seduta con una bibita in mano.Ha camminato a lungo dietro di noi prima di capitolare. Anche se l’idea  l’ha lanciata lei, E ancora oggi sembrava entusiasta di venirci. La Fiera del Secolo….. Diceva che trovarsi nella capitale e non approfittarne, andarsene senza nemmeno una visita sarebbe stato un crimine. A casa avremmo dovuto darne contezza. “Li,’ a un chilometro di distanza e non ci siete stati ?” Che peccato. Proprio scemi”  Invece eccoci li’, scocciati e trepidanti al tempo stesso. Robot ? Auto volanti ? Televisori morbidi ? Nossignore. Si punta al pezzo forte, Saverio ed io. Nessun diversivo, niente aperitivi, su questo siamo d’accordo, vogliamo vedere la cosa unica e raccontarla. Di certo e’ un  calvario. Ancora gente, ancora folla. Ci si fa strada lentamente badando di non calpestare qualche bambino, contando il numero delle  gomitate inferte e ricevute. E si procede in modo costante, anche se buffo, nella selva di braccia e di teste che si insinuano ovunque. E di voci, scorrettezze ed espressioni di ogni tipo che costellano il tragitto. Che e’ breve, una volta tanto. Ci arrestiamo all’inizio del corridoio dove si compone una   fila approssimativa. Niente biglietti, stavolta, o numerini, nessuna precedenza. Un plotone sufficientemente inquadrato di gente disposta ad attendere. Piu’’ o meno paziente.  Ci mettiamo in coda pure noi, affascinati da quella inaspettata quanto improvvisa disponibilita’ di spazio. Un paio di tipi della sicurezza, le braccia incrociate, lo sguardo benevolo, regolano l’ingresso al padiglione. Un cordone color cremisi, due sostegni dorati, un sipario in velluto gli unici arredi. “Due persone per volta” viene ripetuto.  Niente cellulari accesi, accendini rigorosamente in tasca, si precisa. Prendiamo confidenza con i visi che ci circondano, le nuche di quelli che ci precedono. Un bambino si volta e comincia a piangere tirando fuori un suono sgradevolmente acuto prima che la madre si avvii determinata tenendolo per mano. Pochi passi ed e’ gia’ oltre la tenda. La coppia dietro di noi si stringe. Bisbigli. Risatine complici.
Non parliamo, Saverio ed io. Facciamo trascorrere quei dieci minuti scrutando intorno, alla ricerca di un appiglio per i nostri occhi. Un manifesto, un riquadro  qualunque, un elenco di raccomandazioni. Niente di niente. Cerco di  decifrare la scritta sulla targhetta di riconoscimento dell’inserviente che ci passa accanto,ma  il tipo in uniforme fa un cenno ed e’ gia’ il nostro turno. Un lato del cordone si affranca dal paletto. La tenda si apre su un corridoio buio lungo il quale procediamo lentamente. Fino a scorgere una pallida luce nella una strozzatura del corridio. Quando ci arriviamo non risulta facile individuare le indicazioni. Ma poi ci appare la freccia, un po’ scolorita, dipinta sulla parete. E lo spioncino disposto a lato. Saverio avvicina il viso per primo mentre io attendo il mio turno. E mi appoggio,  stanco, alla parete, le braccia conserte, le punte delle scarpe unite e le spalle al futuro.



CALIFORNIA

Un giorno ci arrivero’, ne sono certo. Attendero’ paziente e compito l’annuncio del mio volo all’aeroporto di Phoenix con una rivista di musica in mano. Mi portero’ dietro il mio zaino e la mia abbronzatura western. Mettero’ la cintura con la fibbia da camionista, mi ficchero’ nelle orecchie la musica dei Prairie League. Sorvolero’ l’Arizona ed il Nuovo Messico fino a vedere li’ sotto i campi coltivati a vite ed arance. Tirero’ il respiro piu’ lungo della mia vita avviandomi giu’ per la discesa fino al Golden Gate. Osservero’ compiaciuto il tranquillo procedere dei tram, le case in legno, i quartieri hippy, le vestigia di un passato ancora recente. E camminero’ nell’aria ventosa, i pensieri in subbuglio e gli occhi pieni. Occhi bambini, che staranno gia’ correndo innanzi, verso la spiaggia che ancora sembra lontana. E si volteranno solo un istante prima di tuffarsi in mare lasciandomi indietro. Lasciandomi solo ad aspettarli.


IMBUCATO

Imbucato dici ? Beh, che c’e’ di male?. Ho perso un braccio a Waterloo, lasciato una gamba a  Gettysburg e un piede in Russia. Sono arso vivo a Magdeburgo, collassato a Dunquerque. Ovvio che tuteli quel poco rimasto. Ora dalla trincea lascio uscire per primi gli altri, anzi a volte neppure mi affaccio dopo averli sentiti gridare, prima per farsi forza e poi per accompagnare la propria agonia. Vigliacco, dici? Di’ pure traditore. Pero’ quando la tromba suona la ritirata mi guardano con invidia sedermi sulla sdraio a contemplare il tramonto. E mentre le nuvole si diradano e l’orizzonte si fa rosso rosso i loro sguardi, ne sono certo,  contemplano con invidia la mia oasi, accarezzano la sabbia e si posano sul mio corpo, o quel che ne resta.

giovedì 13 gennaio 2011

ALTRI RACCONTI 2

CREPE

“Costruire, li ? No, neanche per sogno” “Ristrutturare ? Inutile” Ci guardiamo per un po’, o meglio noi lo guardiamo e lui rimane li’ con quell’espressione divertita in volto, gli occhi che non guardano propriamente nella nostra direzione, ma nemmeno altrove. Sta prendendo la rincorsa. Il sorriso si gonfia, ma conserva ancora un po’ della commiserazione iniziale. Autentica, magari. “Ma li leggete i giornali?” Chiede, e sorrido anch’io perche’ fra quel cumulo di progetti, faldoni, cartine e mappe catastali, vedo spuntare “La Gazzetta dello Sport”. “Si, si, anche i telegiornali, ne hanno parlato anche loro. Certo non approfonditamente, per ora” . “Inutile, un terreno condannato, da lasciar perdere e basta”. Mi impegno, mentre prende fiato. Cerco di decifrare la sua mimica, aldila’ di quello che dice. Elenco le varie magagne che puo’ nascondere un fazzoletto di terra apparentemente solido, che si direbbe immerso in un contesto ancora relativamente salubre. Penso alle malinconiche notizie legate all’inquinamento. Ripenso ai temi che gia’ trent’anni fa proponevano a scuola sull’argomento. Contaminazione delle falde acquifere. Dispersione di materiale contaminato. Valuto anche possibilita’ piu’ remote, ma non meno drammatiche. Precarieta’ di tipo geologico. Propensioni telluriche.  Glielo chiedo, alla fine., con ferma cortesia. “Sia chiaro, per favore, dobbiamo ben regolarci in qualche modo”  Ci pensa un attimo,   “La crepa…”  fa poi. “Certo non ancora una notizia da prima pagina…ma ne ha parlato anche il foglio locale. Un solo articolo, pero’ la questione gira da un po’per il paese”. Tace qualche secondo e si assicura di aver trattenuto l’ombra del sorriso originario, prima di riprendere. “Il punto e’ che  nessuno sa che pesci prendere. E’iniziato un anno fa. No, no nessun evento sismico, nessuna scossa. Se ne sono accorti  al mattino. Una strada statale ad un trecento chilometri da qui, si, si , vicino al mare. Nell’immediato sembrava fosse un problema di asfalto. Magari! Nossignore, si trattava di una faglia, e bella profonda”. “Pochi centimetri al giorno, nessuna fretta. Ma si e’ gia’ mangiata un bel po’ di cose, da allora. Qualche centinaio di case, scuole, diverse officine, piloni, tralicci  e  strade. Certo che li hanno chiamati, e fior di esperti, anche. Fatte le perizie tecniche, consultati  gli  specialisti. Niente da fare. Ipotesi, possibili soluzioni, un tentativo con l’esplosivo, senza esito Pare che per ora l’unica soluzione sia farsi da parte” “ Cosa dicono….? Eh, tante cose, dicono, tutta teoria, pero’” “ Se si fermera’? Spontaneamente no, non credo. Ma e’ lenta, lentissima, c’e’ tutto il tempo, sapete?. Basta non farsi prendere dal panico. E’ sufficiente regolarsi, organizzarsi, spostarsi, non averci a che fare, e se proprio non punta verso di noi, ignorarla. Oppure prendere la propria roba ed andarsene. Lasciar perdere, emigrare, senza  affanni e rimpianti.” Poi, di fronte alle nostre espressioni interrogative e desolate aggiunge: “Ma come ho detto cammina lentamente, procede  senza fretta, per ora. E ci lascia tempo.Ci lascia tutto il tempo.


 MANGIATE DI PESCE

I colleghi non mangiano mai il pesce. Si fanno delle mangiate di pesce. Gli hanno portato di tutto, gli hanno servito gli astici extra conto, li hanno riempiti di cozze e ricci di mare. Due gamberoni giganteschi. Il primo erano due piatti enormi di linguine, sai con i frutti di mare, fatti al momento. Scoppiavano. L'amaro era offerto dai gestori. Resti zitto ed ammicchi. Poi li immagini questi posti anonimi, sfigati e neanche tanto numerosi, che costellano queste pianure malinconiche, li vedi alcuni di questi pesci tratti dai locali rigagnoli,  impestati e fetidi, il cuoco egiziano, gli arredi sporchi ed approssimativi, il salone con i quadri tristi che riproducono pesci e persone e mercati di pesce. E pesce. Mangiate di pesce.

GIUSTIZIA

Da quando il secondo comma dell’art.834 ha modificato sanzioni e tipo di procedibilita’ del reato gia’ previsto dall’art 981, come modificato dal Decreto Legislativo 445/89, limitatamente alle voci “colposamente” ed “in buona fede”,al tempo stesso mantenendo le aggravanti elencate nel dispositivo di attuazione che ne precisa i termini (vedi pero’ le esclusioni del tutto speciali eminentemente contenute nel Decreto Presidenziale 678, trasformato in Legge 456 nell’anno in corso), fatto salvo quanto disciplinato dalla c.d. Legge Rossi (poco importa a quale scuola interpretativa ci si riferisca nell’orientarsi in merito al concetto di “presumibile indegnita’”) e dalla legge quadro che e’ intervenuta a comprenderne i precetti, anche se improntata ad un inedito approccio alla materia in esame,
La gente e’ smarrita.

ALTRI RACCONTI 1

PULCINI DA ALLEVAMENTO

Li osservo, talvolta, la sera. Alla luce un po’ asettica e un po’ mesta dei riflettori. Il piu’ grande avra’ dieci anni. Ciascuno con la maglia della sua squadra. Maglie povere, alle volte poco dissimili, prive di stemmi ed emblemi, ma non importa, basta il senso di appartenenza, lo spirito di gruppo, del proprio gruppo. Giocherebbero a lungo per i fatti loro, ci scommetto, con la fantasia e l’immaginazione a regolare i loro gesti. Gesti avventati, magari, Pericolosi, forse. Ma ci sono i grandi. Certe sere le squadre che giocano o si allenano sono piu’ di due e allora gli adulti, mentre due diversi team sono attivamente in campo e palleggiano o si contengono il possesso della palla, si assiepano assieme ai piccoli giocatori delle altre compagini a dar loro suggerimenti e consigli. Perlopiu’ assistono a cio’ che accade in campo, prevalentemente passano il tempo a dispensare suggerimenti e gridare le solite dritte. Esortazioni. Ordini. Sento risuonare allora imperativi categorici del tipo “Passa!” “Tira sta palla!” “Corri!” “Piu’ forte, dai!”.  E quelli obbediscono quasi sempre, o quando si tratta di apprezzamenti negativi, abbozzano. E, si’, mi dico, starebbero giocando per i fatti loro, ne starebbero inventando loro di giochi. Se non ci fossero loro ad accertarsi che rispettino le regole, che non fuoriescano dai margini del campo.


LEZIONE

A PierLuigi

 
E’un luogo bizzarro, la terra di nessuno. Parte dalla seconda fila di banchi, la porzione vicina al muro del corridoio e si ferma alla terza, ai confini della zona impercorribile. E’ uno stato cuscinetto che si frappone fra me ed il totalmente ignoto. Nessuna regola di accoglienza, scarsa permeabilita’. Men che meno un’interfaccia o, un porto dal quale partire in esplorazione. Valgono ancora regole, si afferma ancora un labile nesso causale, sopravvivono costumi civili e decifrabili, accanto a manifestazioni selvagge ed oscure. Talvolta vi serpeggiano umori di guerra. O talvolta, come oggi,  il semplice malumore.  La Landri e la Fuoco, per esempio, e la Marti –si direbbe- contro il Tamandri ed l’Occhiobuono. Lampi di sole che arrivano dai vetri sgrassati alla meglio. Che svelano la tensione e i gesti incazzosi, anche della Mila, che spesso fa da pacere.Minacce gravi ma ridicole, ai miei occhi. “Sflaggati via, se no cavo la lama” viene intimato. “Bruciatevi via, sfighi”.
Qualcuno sgomita nel vuoto per lanciare segnali. Mimiche impazienti che l’aria dell’’aula raccoglie e contiene rattrappendosi. Nessuna valenza apparente ,invece,  nessuna facile scorciatoia offerta dal successivo mutismo dei maschi. Occhiobuono si toglie gli auricolari, incrocia le braccia e prende a guardarti come se si aspettasse qualcosa da te, un simulacro di lezione forse. Ma cosa posso insegnarti, io, che non parlo nemmeno la tua lingua ? Ti chiedo. Che possono  far finta di comunicare le mie vecchie labbra ? Senza contare che sono le dieci, ed e’ inutile iniziare ora.. Si resta in attesa dell’intervallo, prima, e poi del giro dello squalo, attivita’ alla quale assistiamo ormai muti, la terra di nessuno ed io.
Qualcuno esce, si porta in qualche anfratto che meglio ne tuteli la privacy. Guadagna luoghi a me ignoti dove compiutamente coltivare i propri interessi, condurre i propri traffici. Di ogni tipo. Quando rientra ha il tempo e la voglia di sedersi prima che alla porta bussino i poliziotti. Questa volta niente cani, stamane piu’ celerita’ nell’ispezione. Si saluta, oggi, mentre si e’ gia’ a meta’ del giro, mentre si capisce che anche stavolta non si trovera’ nulla. “Tutto negativo, prof.””A domani, prof”. Ma io li sento appena, li saluto per riflesso. Sono in ascolto di altro. A quest’ora si sara’ svegliato, penso. In questo momento stara’ facendo colazione.Immagino la superficie del croissant che va sbriciolandosi, i piccoli frammenti che cascano sulla barba bianca, il caffe’, forse, o il the’. I pensieri rumorosi, il plusvalore. Fumava il sigaro ? Non ricordo, Ma ce lo vedrei bene ad afferrarne uno e portarselo dietro, alla scrivania. E’ un omone, Carlo, e quando cammina si sentono risuonare i passi al piano di sopra. Procede per un po’, avanti e indietro , all’interno del suo studio, lungo le sale dismesse del terzo piano. E, come ogni mattina, senza ormai alcuno sforzo, intravedo la polvere bianca dell’intonaco distaccarsi dal soffitto, ad ogni suo passo, piovere sull’aula. Forse anche quelli della seconda e terza fila vedono qualcosa, percepiscono remotamente il fenomeno. Sta di fatto che succede. E mi rende felice. E mi fa restare seduto a godermi il sole e pensare ai fatti miei, e sorridere, mentre la neve scende, il talco offusca per un po’ la limpidezza dell’aria, la polvere si deposita sui miei panni antiquati, sui miei capelli gia’ bianchi. Nessuno mi sta guardando, nessuno mi presta attenzione, ma se lo facesse, ora, forse mi vedrebbe .

martedì 11 gennaio 2011

RACCONTI 10

NON TI AMIAMO

Apprezzabile il tuo sforzo di venirci incontro, dopo quella litigata, dopo la diaspora familiare.Ma non ce l’avevamo con te. Tu hai fatto, avresti voluto fare da pacere. Ti sei messo in mezzo, Ti sei, come si dice, prodigato in tutti i modi. Non ti sei schierato, certo, ma lo so, simpatizzavi per noi. Ci hai dato fiducia. Hai fatto da intermediario perche’ ci concedessero il prestito. Ti sei sbattuto per procurare un lavoro a nostro figlio. Ti devo la precedenza concessami per quella visita medica. Probabilmente hai fatto altre cose per noi che ignoro. Ti fai vivo, ti dai da fare. Proponi. Ma, non avertela a male. Te lo ripeto: non sei uno di noi e…dovresti averlo capito, non ti amiamo.

RACCONTI 9

IL VENTO

E’ stato un pomeriggio strano, tenero e premuroso con me. E la sera non e’ da meno. Il tramonto e’ pacato e languido, il cielo da incanto, Vado a letto e poi,  quando mi sono sistemato bene, il vento. Un sussurro leggero, prima, che cede presto il passo a un turbinare agitato e senza pausa. Penso subito ai risvolti pratici. Alle cose accumulate sul balcone durante il giorno, quando si e’ fatta pulizia in casa. Ancora li’, in attesa di sistemazione. Ed instabili. Rifletto se alzarmi.Se sia il caso di metterle in  sicurezza mentre il soffio si fa’ sibilo e le imposte mal assicurate prendono a sbattere nervose avanti e indietro. Un rumoreggiare diffuso di oggetti che, anche in strada, vengono ora percossi dopo essere stati accarezzati. Il mondo e’ ormai piombato nell’oscurita’. Le tenui tinte del tramonto, di mezzora prima, non le ricordo nemmeno. Vado in esplorazione vestito approssimativamente perche’ e’ gia’ primavera e anche se mi spingo sul terrazzo, non puo’ fare cosi’ freddo. Afferro i lembi dello scatolone. Afferro una massa di oggetti che non riconosco subito e ce li lascio cadere dentro. Arretro i vasi e l’inaffiatoio. Imprigiono con elastici i portacandela e gli attrezzi da giardino. Ripongo quel che resta nella parte meno esposta del balcone e torno dentro. Mi passa il sonno. Una birra ci starebbe bene. Ma mentre mi dirigo verso il frigo mi prende una inspiegabile agitazione. Il suono, ora, e’ un tormento continuo e insistente , da tremare. Mi seggo in soggiorno. C’e’ una foto li’, di fronte a me, di quando ero giovane. Cosa pensavo. Cosa volevo? Che fine ha fatto la giacca che indosso? Mi e’ rimasto qualcosa, di allora?. E’ tardi, accendo la televisione per far tornare il sonno. Telegiornali, telefilm, cronache di rese incondizionate. Ogni tanto sposto lo sguardo e non vorrei, ma gli occhi tornano  alla foto e mi vedo perduto, vagante nello spazio, irrimediabilmente abbandonato, disperso fra nubi cosmiche, mentre sulla Terra soffia il vento. Questo vento.

RACCONTI 8

SPIACENTE

Spiacente di turbare la tranquillita’ della tua serata libera. Spiacente di importunarti proprio ora, mentre ti interroghi se esistano parole per definire le sfumature di un cielo come questo, disteso placido e rassicurante sulle nostre teste. Questa serata di primavera in cui si e’ sommessamente riversato il pomeriggio,questo crepuscolo da capogiro che ti fa desiderare di trovarti in alto, lassu’, a contemplare l’esistente. O in riva al mare. O a divagarti in un quasi tramonto eterno, spostandoti da una collina ad un locale, bevendo vino buono ed afferrando i morbidi fianche che ti offre la vita, fino a baciarla.. Stasera. Rammaricato di dover fare il guastafeste, di scuoterti dalla tua contemplazione estatica delle prime stelle che si affacciano su di un azzurro che e’ quasi, a tratti, ancora quello del giorno. Spiacente di lasciarti con il tuo bicchiere di birra levato a mezz’aria, con il tuo chiederti se occorra una leggera brezza per rendere questi istanti perfetti. Spiacente, davvero, di dovertelo ricordare.

VOGLIO IL MIO SPAZIO.

L’hai sempre saputo che sono un tipo particolare. Lo sostieni anche, in modo faceto, quando siamo in mezzo agli amici. Lo conosci il mio interesse per le cose inusuali (tu le chiami strane). La mia necessita’ di disporre di cose particolari. Come il cibo del quale mi nutro, che tu trovi repellente, i vapori che inalo, dai quali fuggi. Allora e pero’, ti prego, lasciami la mia individualita’, i miei interessi. Non opporti piu’ di tanto al mio essere malinconico. E in queste sere d’estate lascia che me ne stia qualche volta per i fatti miei, fuori dalla villa, all’aria aperta. In mezzo ai campi magari. O nel casotto degli attrezzi. A trafficare con la radio. A collegarmi col mio  lontano pianeta..

RACCONTI 7

SE NE CONSIGLIA LA VISIONE

In particolare l’attivita’ di bombardamento viene descritta nei minimi dettagli,  concedendo appena un po’ di respiro quando le immagini pertengono gli aerei e le modalita’ di sgancio. Poi le riprese riprendono dal basso descrivendo la carneficina, per circa mezz’ora. In particolare potra’ destare interesse l’indugiare delle riprese sugli effetti sinergici di esplosivo ed agenti chimici sulla popolazione ed il fermo immagine sugli arti e la carne devastata. Il Venerdi’ il doppio spettacolo prevede alcune scene di vivisezione umana tratte dal film/documentario “Oltre tutto”, di prossima distribuzione. Una confezione di patatine o pop corn a scelta inclusa nel biglietto.        SE NE CONSIGLIA LA VISIONE

BUONA AZIONE

Non compiere mai una buona azione. O almeno non compierla per solo spirito altruistico. Porta sfiga. Se proprio ti scappa fai in modo che ci sia qualche altra valenza, possibilmente di tipo opportunistico, anche indiretto. Lui guarda e giudica. E ti considera per quello che sei. E chi sei tu ai suoi occhi, di quanta presunzione sei permeato se arrivi al punto di voler mutare l’ordine delle cose ? Lui ti vede e giudica e, quando ne ha il tempo -quasi sempre- ti punisce. Non commettere mai una buona azione. Sii buono.

RACCONTI 6

CE LO POTEVI DIRE

Ce lo potevi dire che a quell’appuntamento ti sarebbe dispiaciuto mancare. Che la tua donna avresti preferito non perderla. Che tutti quei soldi per venirne fuori pulito non li avevi. Che eri stanco, dopo sei ore passate in quell’Ufficio della Questura.  Che quella parola sul verbale non ti convinceva. Ce lo potevi dire che la torta del tuo compleanno avresti gradito assaggiarla e quell’esame era importante. Ce lo potevi dire che quei due annetti di galera li avresti presi cosi’ male. Ce lo potevi dire. Che eri innocente.

HAI PENSATO AGLI INSEPARABILI ?

E’ un casino. Sudati e trafelati, ma ce l’abbiamo fatta. Valigie e trolley, sacchetti e buste, macchina da ripresa, marsupi. Le chiavi di ….dove cazzo sono ? E’ stata una corsa, sono state ore concitate. Non abbiamo quasi parlato, non ce n’era il tempo. Ma li’ dentro, fa quasi freddo. Li’, adesso, c’e’ il tempo di prendersi un caffe’, mentre commenti il colpo di culo. In orario. Sei ore e ci saremo. La spiaggia e l’isola. Si stacca, ci si ritrova, si fa la collezione di conchiglie del C., si cena sul mare, le palme, il cazzeggio, i cocktail, il gelato e il cocco.
Ti sei fatta seria. A cosa stai pensando ? Perplessita’ dell’ultimo secondo ?. Dobbiamo quasi presentarci al finger. E poi…”Agli inseparabili hai pensato tu ?” Rivedo la gabbia, ma non ricordo quando. Sono quasi sicuro di no. “Non e’ che li hai messi dentro  tu e non te lo ricordi ?” Rivedo la gabbia, esposta al sole, ma questa volta il tempo e’il futuro e il destino e’ scritto. L’acqua che finisce. Il calore che si concentra. Il mangime c’e’, ma e’inutile. Due riproduzioni in stoffa e penne artificiali, rinsecchite. Prima uno, poi l’altro. Il sole, il sole. La plastica surriscaldata, il  cibo sbriciolato e rinsecchito”. “Agli inseparabili hai pensato tu ?”

PENSAVO DI CONOSCERTI

Pensavo di sapere che eri un vigliacco. Che ti saresti presto arreso alla vita. Che eri svogliato, votato all’ozio e alle cazzate. Che eri un finto sportivo. Un tipo da sofa’. Immaginavo che  fossi irremovibile nelle due o tre convinzioni che reputi assunti vitali. Che ti piacessero gli spettacoli stupidi, che fossi un tipo da platea popolana e scurrile e ti lasciassi cullare dal suono di frasi malevoli e svogliate. Presumevo amassi l’indifferenza, anzi che non riuscissi proprio a spiegarti  altri atteggiamenti. Pensavo fossi un profittatore, ipocrita, irriconoscente, dedito al vizio, ma senza complicazioni e fatica, servitoti a domicilio. Pensavo di sapere come eri fatto. Pensavo di conoscerti.





LAS VEGAS

E’ il nome di quel bar vicino al centro. Ci sono entrato durante uno di quei brevi vagabondaggi nelle pause d’ufficio. ,Erano una moltitudine,ma non davano subito nell’occhio, forse perche’ il bar e’ ampio, o forse per la loro discreta, peggio, silente, e triste immobilita’. Ogni tanto una breve frase, in un dialetto strascicato e contaminato dalla lingua ufficiale. Molti seduti, ma senza il caffe’ o il cappuccino. Nessun aperitivo sui tavoli. I corpi curvi, il capo inclinato, come nell’attendere alla manutenzione di una mitragliatrice. Ma invece grattavano. Mi presento al bancone mentre una voce moderatamente grave risuona nell’aria. All’indirizzo di nessuno, Ma la proprietaria se ne appropria e inarca le sopracciglia, in  modo manieristico e preordinato. “Ti devo ringraziare” Dice quello. “Per cosa ?” fa’ lei “Mi hai dato il biglietto buono”. “Ah, si’, e quanto ?””Mille”-
Per un attimo l’attenzione dei presenti e’ concentrata sull’evento. La cameriera, slava o giu’ di li’, si fissa in un profilo vagamente egizio, prima di udire la mia voce che le comunica l’ordine. Poi le teste tornano giu’. Le dita si riafforcano a ragno sui cartoncini, quelle di una mano. E le altre grattano.

LA BANDIERA SVENTOLA E LA PERA CADE

Non e’ lo scemo del villaggio. E non e’ nemmeno un cretino. Anzi, a sentire il tipo del bar/osteria/ristorante del paese, sa un sacco di cose ed e’ grado di soddisfare piu’ di una curiosita’, non solo sulle tradizioni locali, come potresti aspettarti. Ma in molti campi. Solo e’ silenzioso. Non scostante, solo timido forse, o eccessivamente contenuto nelle sue espressioni, ma all’occorrenza abile a sciorinare date ed eventi storici, e cosa e come ha fatto quello e quell’altro e, inopinatamente, dati scientifici dei quali si intuisce il convinto apprendimento, non la semplice memorizzazione. E’ anche un manuale di attivita’ pratiche, se ben sollecitato. Insomma non un pappagallo parlante. Ha questo vezzo, e dovrebbe essere l’ultimo elemento ad incuriosirmi, invece, a furia di sentirlo ripetere, mi stuzzica l’interesse. “La bandiera sventola e la pera cade”, commenta dieci volte al giorno Lo intercala, talvolta. o lo butta li’ al termine di un chiarimento, mentre i paesani sorridono. Ma non ti spiega, nemmeno se glielo chiedi. Mi invita invece a seguirlo, dopo mesi e mesi di frequentazione del locale –di alcuni sono diventato amico, ma non si puo’ lo stesso  dire per quanto lo riguarda- e di bevute in comune, accertandosi prima che abbia le scarpe giuste, e prende la via della collina. Poi piu’ su, lungo uno stretto sentiero praticato forse da qualche solitario contadino o da volpi vagabonde, fino ad arrivare ad una strettoia e, poco oltre, ad uno spiazzo. E li’, a lato di una malinconica struttura in muratura, austera e silenziosa, evidentemente dismessa da anni, una caserma o un vecchio forte, lo vedo, il pennone. Li’ la vedo la bandiera, o quel che ne rimane. A destra della quale, non compreso in alcun appezzamento, uno striminzito albero di pere. Mi guarda un attimo prima di parlare, sopra lo sfondo di un cielo totalmente azzurro. “A volte qui, a saper aspettare” dice lui “La bandiera sventola e la pera cade”.  

RACCONTI 5

APOCALISSE


Ci siamo. Le previsioni catastrofiche dei popoli antichi, i vaticini apocalittici ripresi dalle Scritture, condivisi dalle civilta’ precolombiane, prefigurati dai veggenti, scientificamente anticipati da irrise proiezioni matematiche, si prendono la loro rivincita, stasera. Succedera’, questione di ore. La televisione ne parla improvvisamente con serieta’, in prima serata. Indubitabili estrapolazioni matematiche vengono sciorinate con generosita’, ora che i giochi sono fatti. Ospiti attendibili confermano, indecisi solo sul minuto secondo, Si attende. Ci si riunisce. Ci si stringe gli uni agli altri. Ti osservo nella penombra del tinello, un orecchio alla TV. Poi distraggo lo sguardo. Sulla presentatrice. Sulle sue cosce. E ti guardo ancora e mi sembra….Non ne sono sicuro, ma mi sembra…,Lo spigolo della tua bocca forma ora un angolo meno acuto. Devo osservare meglio per capire. Ma si verifica, sta per verificarsi. Ti volti, Le labbra si schiudono quel tanto. La bocca si apre e succede. E parli. E dici la verita’.

RACCONTI 4

PERSISTENZA


Proprio adesso. Ora che la trasformazione del gabbiotto in una tana un po’ piu’ confortevole  e’ a buon punto. Ora che il Sudoku ha superato il crinale dell’impraticabilita’ ed un ragazzo express sta smanettando con le nostra pizze gia’non piu’ calde. Ma e’ ancora li’. E sono tempi rognosi. Di parate di culo. E bisogna essere scrupolosi. Bisogna scendere.. Dopo uno sguardo interlocutorio, magari, ma alza il culo lui. L’altro, il tipo, e’ ancora li,’ che va su e giu’. Uno sfigato ritardatario su tutto. Piantato li’ da mezzora. E quando si spianta va solo avanti e indietro, che sul monitor sarebbe su e giu’, come una indolente pallina da ping pong. Fara’ freddo. E infatti alza le braccia  e poi le ricongiunge ai fianchi o le incrocia. L’esercizio ginnico di un alunno delle elementari. Attendo che Alfonso compaia nel riquadro, e dopo cinque minuti succede. Ma non fa niente. Guarda solo. Ma dove cazzo lo sa solo lui. Poi scompare. Arriva lento. “Uno scemo qualunque”. Poi si accorge, e lo guardiamo insieme. “E’ tornato a rompere i “ “Non se ne e’ mai andato. Che gli hai detto ?””Non c’era.”. Vado giu’ io e la situazione e’ speculare.Intanto la pizza arriva e si raffredda.
L’Agente anche non ci capisce. Scendiamo insieme e, niente. Ma all’interno di quel riquadro, quello collegato alla telecamera perimetrale D-2, insiste ad esistere. E cammina. E si ferma: E ogni tanto guarda. Ci guarda.

COSTANZA

Tanto di cappello. Intendiamoci, non sostengo che non ce siano altri di, come dire, molto bravi?, maestri ? Ma quei quattro o cinque, quei cinque o sei, quella decina, erano veramente ossi duri. Proust, per esempio, mai un cedimento, una ancorche’ contenuta emersione dalla profondita’ del suo dire. Stendhal. Flaubert, Dio, ma e’ stata mai riscritta una sua Prima Educazione Sentimentale ? Tenevano duro, non mollavano mai. Dei veri figli di puttana. Veniva loro qualche volta il mal di denti durante la stesura di quelle opere fiume ? Avevano bambini da portare e riprendere da scuola? Mi chiedo se oggigiorno, l’epoca in cui per produrre pasta fatta in casa che duri mezza giornata . occorre mobilitare mezza parentela, tale pervicacia possa ancora manifestarsi. O verosimilmente non si tratta di epoche diverse, ma di persone aventi l’agio di attendere quotidianamente al loro lavoro di cesello e. anche, contemporaneamente di piccone.Chi ha visto in giro Madame Bovary ? L’ho lasciata un attimo qui, in cucina e quella si e’ volatilizzata. Che fine ha fatto Raskolnikov ?  

RACCONTI 3

AMICI

Le previsioni danno tempo gramo, proprio li’ dove devono andare. Tempeste e grandinate e addensamenti velenosi. Venti radioattivi, dicono, particelle Alfa e Beta. Frega un cazzo, ai tre amici. Lo  hanno programmato e ci andranno. Vedranno il sole, anche se non ci sara’. Avanzeranno nella luce del giorno, fra le insidie della notte ostile, nelle brume di un mattino stentoreo, ansimeranno in mezzo alla giungla, nella stanchezza della sera. Procederanno ginocchioni fra la neve, dividendosi il rhum e la grappa, manderanno a fan culo l’ansa del fiume, nascosta sotto la coltre bianca, faranno surf fra le valanghe, mangeranno sabbia, se e’ il caso. Sputeranno sul sangue dei predoni e degli aggressori. Hanno il mondo in pugno, i tre amici. Gli oceani piegati ai loro piedi, gli spazi addomesticati. Che vuoi che sia per loro una semplice perturbazione? La burrasca gli fara’   il solletico, la bufera una pippa. Potranno essere circondati, fermati dall’esercito o dalla polizia. Torturati e condotti nell’andito piu’ recondito della prigione piu’ dimenticata del mondo, in mezzo al deserto. Ti faranno segno col braccio, ti inviteranno affanculo, manderanno a quel Paese il destino e gli eventi. Deformeranno il tempo. Sono uniti, i tre amici. Sono fratelli e compagni d’armi. Il resto e’ irrilevante. La gente puo’ fottersi. Sono forti e all’occorrenza implacabili, i tre amici. Sono amici, i tre amici.

LA MACCHINA NUOVA

Mi volto verso la mia macchina nuova, percorrendone la linea morbida, valutandone  l’immacolata bellezza.. Attribuendo un punteggio al colore. Apprezzandone la debole fluorescenza,  che risalta nella luce del tramonto; la figura che annichilisce il paesaggio circostante. Mi accosto con riverenza alle sagomature morbide e tirate a lucido. Le voglio bene. Provo per lei tenerezza nell’incombere del tramonto. Resto in piedi accanto a lei, aspettando che si asciughi del tutto.Penso, nel rumore prodotto dagli spazzoloni che gia’ si stanno occupando della vettura successiva, che fra breve saremo soli io e lei. Fileremo nella sera maliconica, fra le luci della costa, verso un grande futuro. Siamo immersi nella speranza, io e lei. Potrebbe girarci la testa per quanto e’ calma ed accogliente questa serata di giugno. Potremmo semplicemente sederci e giocare a carte, e bere birra ghiacciata e sbirciare intorno di tanto in tanto, apprezzando l’istante, commossi dal moto sommesso ed oscuro del mare, dalle luci che ne punteggiano l’orizzonte mobile. Ma lo sappiamo entrambi che di tempo non ce n’e’moltissimo. Sappiamo di avere un appuntamento. E ci arriveremo, piu’ o meno puntuali. Ci arriveremo senza fretta. Io e lei.




IMBARAZZO

Ne hai la viva percezione,  mentre guardi il trattore percorrere i campi con l’autobotte
a rimorchio ed il letame che cola fuori, che si sparge intorno, Afferri questo nuovo concetto, tu che arrivi tardi alle cose, mentre il terreno gia’ rivoltato assorbe il liquame maleodorante, si abbevera della sostanza marrone e fetida. Le mosche ci sguazzano adesso, pullulano sul campo imbevuto di vita. Ti spieghi la cosa, la ammetti sorridendo. Il veicolo traballa e si allontana in fretta. Per il conducente e’ tutto in regola, un lavoro ordinario, un po’ sgradevole, che va fatto.Ma tu che sei fermo li’ per caso, ai margini del ritaglio di terra, tu che osservi, ne resti illuminato ed affranto. La finitezza del ciclo, la poverta’ del tutto, la solidarieta’ ultima ed obbligata fra le creature, il forzato abbraccio fra le cose, l’utilita’ dello scarto, l’intima necessita’ del piu’ umile contributo. Il divorare se’ stessi, quel che si e’ stati. Il mangiare merda.

RACCONTI

NON PENSARCI

Non pensarci, cuore mio. Anzi non pensare proprio. Te lo avevo già detto no, mia stella ? E il suggerimento non e’ stato spontaneo, hai dovuto insistere ed insistere, puntare i piedi a lungo, mia cara. Volevi un consiglio. E te l’ho dato. Come ? Il paesaggio dici ? Quello laggiù, dove il bordo del mare fiancheggia il rosso spento del crepuscolo ? In quella direzione , intendi, la marina tratteggiata da un pittore cieco che confonde quei pochi colori messigli a disposizione ?  Lo strato sfilacciato di quelle pretese nuvole ? Non riesci a contemplarlo, semplicemente ? Non riesci a beartene e basta?  Certo, e’ giusto. Ti devi sforzare, come in ogni cosa. Come in ogni pratica, quando si e’ alle prime armi. Sforzati, fallo per te. Lascia che prevalga il silenzio, fai tabula rasa, considera, se vuoi, solo l’incanto più apparente del dipinto. Non perdere la testa, non farti trasportare, spoglia la tua mente, rendila un deserto. I deserti raramente si animano. Considerala un oceano spento e desolato, un ritaglio di cielo grigio. Non lasciare che si screzi, non lasciare che i bordi si sfrangino. Cosi’, cosi’, brava. Non pensarci, non pensarci, non pensare.

IMMAGINO
Arranchiamo per il pendio, per il sentiero ai margini del bosco illuminato a giorno dai fari dei fuoristrada. E sobbalziamo e ci torciamo ad ogni svolta,ad ogni aspra gobba del terreno, ad ogni tormentata deviazione, in una marcia che  sembra veloce ma e’solo per la fretta che abbiamo di sottrarci all’ostilita’del luogo. Afferro a piu’ riprese il volante e poi lo abbandono repentinamente,  come agendo sul morso di un cavallo immaginario, visto in qualche film. E cerco di localizzarli li’ intorno, li’ in basso quei maneggi che mi e’ stato concesso intravedere, qualche volta, nei miei giri in auto. Lui,che non ha l’incombenza della guida continua imperterrito a ridisporre gli oggetti, a stiparli nei vani del cruscotto borbottante. Inutilmente. Riordina, si da’ forse un’aria, sottraendo lo sguardo ai multiformi sentieri, alle radici esasperatamente  contorte che affiorano dal bosco e  paiono messe li’ a bella posta, al solo scopo di incupire di  piu’ lo scenario che ci circonda. Scuri intrecci di rami, uccelli notturni appollaiati chissa dove, volpi sonnolente. Buio, buio, buio. Avrei desiderato non parlarne, avrei  voluto neanche sfiorare neanche certi argomenti, e l’evoluzione della nottata decreta quanto avessi ragione. E sto per aprire bocca, sto per condividerli con te questi pensieri scossi dal rollio dell’automezzo, quando le luci degli stop delle auto che ci precedono illuminano il corridoio di terra accidentata e giallognola lungo il quale procediamo. Stavamo per fare retromarcia, ti ticordi ? Avevamo entrambi simulato che quel bivio rappresentasse il luogo oggetto della segnalazione, stavamo per rientrare dopo un giretto a piedi,  compiuto piu per soddisfare i nostri bisogni  che per convincerci   dell’esattezza del luogo, confortati, nella forma,dalla segnaletica scarna, dalle indicazioni ambigue. I paletti in legno, la sommita’ trafitta dalla freccia riportante i nomi – sommariamente scolpiti- e fors’anche, a poterle scorgere,  le distanze chilometriche o espresse in termini di ore come si suole in montagna. E poi ci hanno raggiunto, le due jeep. Il tipo ce l’ha detto chiaro che stavamo prendendo un granchio, che magari fosse cosi’ vicino il luogo, tirandoci in quel caravanserraglio di imperiosa tristezza. E’ tardi adesso per rifletterci su. Non serve sbattergli in faccia l’inadeguatezza del veicolo,l’improbabilita’ dell’evento prospettato, le incombenze che ci attendono giu’ a valle.  Ci tocca prestargli attenzione, al capo carovana,che si avvicina a piedi per dirci che “non e’ ancora qua”, che cani continuano a latrare, puntando in direzione della sommita’ del monte. C’e’ una radura, precisera’,  la baita e’ laggiu’. Bisogna fare in fretta, non c’e’ tempo da perdere, ribadisce con le mani sui fianchi, il piglio paramilitare, prima che il convoglio lo  riassorba. Ci sembra di sentirli i cani, subito dopo,  scrutiamo le  carabine ordinatamente sistemate nel retro dei fuoristrada . Ripartiamo. Ma lo  rivediamo presto il tizio, sporgersi fino al bacino dal portello dell’auto,  sbracciarsi e puntare l’indice all’insu’ e ripetere “Li’ sopra, dai dai! Piu’ in fretta! Dai dai, andiamo andiamo, subito, subito!” Lo fissiamo, alla luce di quel palcoscenico, contempliamo la sobria risolutezza della sua figura, ci appuntiamo i pochi particolari della tenuta mimetica e riprendiamo l’arrampicata, sapendo che non ci sara’ nessuna sosta, nessuno spiazzo, nessun prato ad attenderci. E per un attimo quasi incrociamo i nostri sguardi, incrociamo le nostre vite. Faremo del nostro meglio, pensiamo,  faremo quanto si puo’. Veloci. Veloci.

RACCONTI

ETICO

Sembra che l’abbiano messo li’ a bella posta. Tu vieni su dalla zona nuova, quella che sembra di essere sottoterra, ti avvii alle rampe e lo senti, l’odore, prima di vedere lui. Oppure arrivi dalla metro, svolti verso il corridoio che porta alle scale mobili, rasenti il passamano in vetro ed acciaio cromato e lo trovi li’., con i suoi cenci, che si rade, oppure cerca di darsi una sistemata coi fazzolettini umidificati che ha rubato. Che gli hanno regalato. A terra, oltre il sacco a pelo, niente, nemmeno il cappello per le elemosine. Senti la gente .Dice che e’ preordinato. Dice che puo’ darsi che e’ retribuito. Dice che hanno provato a chiamare il vigile e che glielo ha detto.Una dimostrazione. Una triste esibizione. Quello che deve essere. I passanti raramente si fermano, perlopiù guardano ammutoliti. Gli stranieri scuotono lenti la testa. Dice che ha provato. Dice che ha chiamato il vigile, quando si e’ messo a farla in pubblico. La guardia ha detto che e’ fatto per abituarci. No, non per prendere precauzioni, no, non per evitarlo. Non si puo’ evitare. Dice che dobbiamo guardare ed abituarci.

SALVA
E’ stato difficile, due giorni dopo. Ma di tempo ne hai se non vuoi avventurarti in mare, col rischio di ripetere l’esperienza. Hai tutto il tempo.Anche perche’ e’ meglio spezzare, per la pelle. Ti alzi dal lettino e sei speranzosa poiche’: fare appello al bagnino(che l’altro ieri c’era, ma dove ?) non ha fornito risultati. Il gestore dei bagni, niente. Al 118 gliel’hai chiesto subito dopo, ma hanno detto che non voleva, gliel’ha chiesto espressamente, e poi se ne e’ andato. La polizia ha ricostruito l’evento, identificando solo lei, e se ne e’ andata. Solo Mario. Il pizzaiolo (abusivo). Gliel’ha promesso. “Verso le quattro, signo’”. E poi, quando arriva;”Come sta’. Signo’?” Ha continuato a chiederglielo da quando l’ha rivisto, insistendo su uno scontato riepilogo dell’infortunio che la vedeva protagonista. “I crampi sono una brutta bestia, signo’’’ Si vedeva immobilizzata a qualche centinaio di metri dalla riva. Perdere conoscenza e risvegliarsi con quelli del soccorso gia’ li’ intorno ed il suo salvatore scomparso. “Era giovane, signo’, biondo, sta’ li’ tutti i giorni” Poi lo segue e si aprono la strada fra corpi di bagnanti ed accessoriame da spiaggia, fino ad arrivare al tratto libero. Lei guarda in un punto sbagliato “No, signo’, piu’ a destra” E alza piano la mano indicando. “Er costume nero, li’, vicino ar canotto” “No, quell’artro, quello cor tatuaggione” “A croce, si’, e’ quello”. “Se riconosce, e’ quello  che c’ha a svasticona sur petto.”









FRONTIERA IN FIAMME

A nostro cugino, nel dubbio, abbiamo sparato. Non e’ stato facile, anche perche’ parla la lingua e capivamo tutte le preghiere, implorazioni e suppliche del caso. Ad ogni modo la sua casa non c’e’ piu’. Il mortaio. E al mortaista le coordinate le abbiamo fornite noi.  C’era Gianni, ma era piu’ un conoscente, anche se ci univano anni di tribolazioni e spesso le vacche che scappavano dalla sua parte ce le ha rimandate indietro. E ci ha offerto il vino ed il pane fresco. Pane XXXXese, certo, ma non era malaccio. Poi la questione dei suoceri. Stanno su di una cavolo di propaggine che non e’ proprio terra di nessuno, ma ci vorrebbe la cartina ufficiale e super dettagliata per inquadrarne l’appartenenza. Il dialetto e’ il medesimo, ma non vuole dire niente. Ci somigliano. Tutti ci assomigliamo, ma occorrono discriminanti e bisogna pensarci in poco tempo.
Lo zio ci assedia. E’ stato XXXXno per tanto tempo, poi nemmeno noi sappiamo cosa e’ diventato. Porta vestiti strani. Ci ha prima telefonato dicendo che di uniformi non ne vuole sapere. Potevano anche esserci sottintesi inviti alla fuga, ma non ne sono sicuro. Siamo rimasti, ma lo spirito non e’ dei migliori. Dicono che stiamo vincendo. Che e’ questione di mesi e a primavera potremo scendere ai pascoli, e saranno tutti nostri. Speriamo sia vero. Speriamo sia vero.

PRIMA DELLE VIGLIACCHE CURVE
Una pattuglia della stradale sul ciglio della carreggiata, poco oltre la buca “del carrozziere”. Sistema di puntamento laser. Autovelox. Etilometro.Rilevatore di manchevolezze in genere. Due cani annoiati che fissano l’asfalto. Prego rallentare, senza dare nell’occhio. Appellarsi all’anonimato, ma non troppo. Il parabrezza sporco, ma non troppo. Scali di marcia. Sei in ritardo. Avresti potuto partire prima. Avresti dovuto rimuovere quell’adesivo.
Ci si insinua nella strozzatura dei LAVORI IN CORSO - da due anni-, tenendo un po’ la sinistra. Si attraversa il tratto sconnesso ostentando la tranquillita’ dei giusti. I cani hanno un guizzo di vita. Uno di loro abbaia all’indirizzo di un punto in lontananza, laggiu’, dove manca il guard rail. Poi sei oltre. Riscali la marcia, affronti la salita.MODERARE LA VELOCITA’. FONDO SCONNESSO.ARRETRARE IN CASO DI NEBBIA. INSIDIE.  COINCIDENZE DI CODE. SE AVANZI, A TUO RISCHIO E PERICOLO! TORNA INDIETRO. VATTENE. RIPENSACI, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI! RIPENSACI , RIPENSACI, RIPENSACI!. RIPENSACI, PRIMA DELLE VIGLIACCHE CURVE.









SUSSURRI E GRIDA

Vorrei conoscere i loro segreti. Sapere che cosa ne attanaglia le corde vocali quando squilla il telefono. Quando gli vibra l’anima. C’e’ un tempo per ogni cosa. C’e’ un tempo per ritirarsi, secedere in modo sommesso. “Si’, che c’e’?”. Ci si alza se si stava seduti. Ci si apparta. Si sussurra. “No, lavoravo, te l’ho detto, niente”.
Vorrei sapere. E’ Dio in linea?.Sono Confessioni?.
L’anima sospesa, giacente in stand by in qualche luogo remoto, progressivamente rievocata, quando ci si allontana. Quando si puo’ parlare. Sussurri, ancora. Toni camuffati e rancorosi, pieni di noia. Toni in crescendo al centro di un pomeriggio sonnolento. “Te l’avrei detto, no?”.Piovesse.

SPAVALDERIA
Ho tentato di decifrarla. Quella spavalderia. Una miscela di incoscienza ed ignoranza, forse ? Il retaggio di avi abituati ad affrontare e sopravvivere agli elementi avversi. Ti mando affanculo. Me ne frego. Guarda che non mi fai paura. Anche se sei chi sei. Che vuoi dire ? Che vuoi capire ? Lo so gia’, i problemi, la crisi. Il mondo in pericolo. Il cavolo del buco del come si chiama. Non mi frega. Nessuno puo’ permettersi. Stai al tuo posto. Non mi interessa. Ti butto giu’. Ti rompo le ossa. Il primo che mi capita a tiro. Il primo che mi rompe. Che vuoi capire ?

SENTINELLE

Abbiamo vigilato, per lungo tempo. Osservato dall’alto e con il microscopio. Disaminato, decretato e comandato alla luce del sole. E, se del caso, contrattato Ma piu’ che altro suggerito, istigato, prezzolato. Piu’ tardi, qualche volta, convinto, ammiccato, redento. Nell’ombra, nelle tenebre che avvolgono lo zelo e l’opera di chi altrimenti appare incomprensibile nelle sue azioni, e del resto il servizio di guardia e’ cominciato al crepuscolo. E dal tramonto abbiamo convintamente vigilato. Li abbiamo contati. Tutti. Ed erano tanti. Le abbiamo viste arrivare ed andarsene, le testa calde. Qualcuno l’abbiamo trattenuto. Molti altri respinti. Tantissimi annichiliti. Indotti alla ritirata, alla fuga inconsapevole. Conosciamo l’efficacia della coercizione ben applicata. Ma ancor piu’ della lusinga. Valutiamo, decidiamo. Ne parliamo fra noi. Di cosa e’ meglio fare, di volta in volta. E siamo menti aperte, accettiamo contributi. L’apporto degli Stati, delle Associazioni, dei sindacati, financo. Adoriamo il buon senso, la rassegnazione, l’isolamento. Non temete la nostra presenza. Noi non vi consideriamo numeri. Noi tuteliamo la vostra individualita’. Vi ascoltiamo, quasi sempre. E vi pubblicizziamo, oggi, all’occorrenza.





ANGELO

Non c’e’ ne’ per nessuno, oggi, lo sai ? Inziata male,finita peggio la giornata. Disapprovazione, additamento e saetta. Dieci capannoni incendiati, due fabbriche lesionate, un club e decine di bar ridotti in cenere. Per menzionare solo la periferia. E in centro citta’ il caos. Quartieri allo sbando, uffici distrutti. Campane, sirene e lampeggianti. Turni di straordinario per le forze dell’ordine e i soccorritori. Trafelati, sudati e atterriti, gli operatori, si aggirano sulle macerie, intervengono qua’ e la’, senza riposarsi un secondo. E di dormire non se ne parla proprio, oggi. Li chiamano in un luogo, tamponano un’emergenza e sanno gia’ che dovranno correre altrove, nel giro di pochi istanti. Atterriti. Tutti. Affamati e sporchi, quasi confusi, nell’ombra della sera, con le colonne di profughi, le fila dei sopravvissuti. Il buio sarebbe sceso come una benedizione, si diceva. Al buio non ci avrebbe visto, si pensava. Ma e0 ancora li’, volteggia sopra la citta’, osserva, scuote il capo e poi ci da’ dentro, con la risolutezza di un bambino nel pestare le formiche. Le tenebre non arrestano le sue azioni, la fievole luce della luna non attenua la sua determinazione. Con lo svantaggio, per noi, che non lo si  avvista proprio. E il cruccio di poter solo aspettare, soggiacere alla roulette russa, pregare. Sapendo che non vi sara’ tregua. Immaginando il peggio. Sollevando lo sguardo inutilmente verso il soffitto, il cielo, il Creato. Implorandolo di smettere. Supplicandolo di andarsene, di lasciarci in pace. E maledicendolo, per sempre.
























COMUNIONE

Ne ha gia’ snocciolate una ventina, di domande, e siamo solo a meta’tragitto e la cerimonia sembra ormai lontana.. E’ passato dalla storia alla geografia, dalla biologia alle cretinate sul cavallo di Napoleone. E la mamma niente. Neanche una parola. Eppure che Piero indisponga anche lei e’ certo. Che si stia chiedendo chi gliel’ha fatto fare e’ altrettanto sicuro. Forse si e’ gia’ arresa da tempo. Forse ha capito presto e da subito ha deciso di lasciar perdere. A noi, che non abbiamo nessun titolo per imporgli alcunche’, non resta che uscircene con vacue considerazioni, perlopiu’ con l’intento di spegnerne gli ardori. Ma lui non si lascia condizionare.Non reagisce.. E di nuovo Austerlitz, Waterloo, l’Impero Turco, Bisanzio, il Rio delle Amazzoni, Il Mar dei Sargassi, La Mongolia, le farfalle, le formiche, i pipistrelli, le carrucole, i vasi comunicanti, l’algebra, i volumi.Ce li ricordiamo quegli eventi ? Conosciamo ancora  i dati salienti di quegli oggetti, le coordinate di quei luoghi, i costumi e le caratteristiche di quegli animali?. Vera, a questo punto, sorridera’ soddisfatta dentro di se’, pensera’ che ce la siamo voluta. C’era il ristorante, dignitoso e tutto, vicino alla chiesa, ordinario, si’ ma anche comodo, da ogni punto di vista. Ed economico, che non guasta. Ma noi abbiamo insistito per la trattoria, abbiamo in buona fede caldeggiato l’opzione del luogo riposto e tranquillo, ancorche’ verosimilmente zeppo, oggi, di molti altri bambini. Moltitudini di infanti perlopiu’ scontrosi e chiusi in se’,e in gran parte indecifrabili, data l’eta’. Venti chilometri, ma sembrano duecento. Scalo di marcia e supero il semaforo mentre la vocina continua a chiedere, a menzionare. Bravo, sai ? Proprio bravo. Ma nessuna carezza per te. Potrai rimpinzarti di patatine, sciegliere la pizza come cavolo vuoi, stramazzare a terra ridotto ad un involucro, ad una cialda piena di pan di spagna e di gelato. Nessuno sentira’ la tua mancanza. Non mancherai a nessuno. Proprio no. Un altro incrocio, un autovelox, il dare precedenza e un’altra curva. Ma poi ci siamo arriva il rettilineo, spoglio di tutto, asfaltato di fresco, privo di segnaletica, dossi, cartelloni pubblicitari. Solo cespugli ai bordi della pista e prati e alberi e campagna, la campagna di una volta. Per una volta posso dare gas, quasi affondare il piede, filare sul nastro nero e sentirmi libero dal mondo, dai miei pensieri, libero dalla sua voce. Poi inchiodo.Punto le braccia sul volante. Fisso le loro espressioni interrogative e proclamo: “Devo pisciare”.

Prateria

Esercizi di stile