martedì 11 gennaio 2011

RACCONTI

ETICO

Sembra che l’abbiano messo li’ a bella posta. Tu vieni su dalla zona nuova, quella che sembra di essere sottoterra, ti avvii alle rampe e lo senti, l’odore, prima di vedere lui. Oppure arrivi dalla metro, svolti verso il corridoio che porta alle scale mobili, rasenti il passamano in vetro ed acciaio cromato e lo trovi li’., con i suoi cenci, che si rade, oppure cerca di darsi una sistemata coi fazzolettini umidificati che ha rubato. Che gli hanno regalato. A terra, oltre il sacco a pelo, niente, nemmeno il cappello per le elemosine. Senti la gente .Dice che e’ preordinato. Dice che puo’ darsi che e’ retribuito. Dice che hanno provato a chiamare il vigile e che glielo ha detto.Una dimostrazione. Una triste esibizione. Quello che deve essere. I passanti raramente si fermano, perlopiù guardano ammutoliti. Gli stranieri scuotono lenti la testa. Dice che ha provato. Dice che ha chiamato il vigile, quando si e’ messo a farla in pubblico. La guardia ha detto che e’ fatto per abituarci. No, non per prendere precauzioni, no, non per evitarlo. Non si puo’ evitare. Dice che dobbiamo guardare ed abituarci.

SALVA
E’ stato difficile, due giorni dopo. Ma di tempo ne hai se non vuoi avventurarti in mare, col rischio di ripetere l’esperienza. Hai tutto il tempo.Anche perche’ e’ meglio spezzare, per la pelle. Ti alzi dal lettino e sei speranzosa poiche’: fare appello al bagnino(che l’altro ieri c’era, ma dove ?) non ha fornito risultati. Il gestore dei bagni, niente. Al 118 gliel’hai chiesto subito dopo, ma hanno detto che non voleva, gliel’ha chiesto espressamente, e poi se ne e’ andato. La polizia ha ricostruito l’evento, identificando solo lei, e se ne e’ andata. Solo Mario. Il pizzaiolo (abusivo). Gliel’ha promesso. “Verso le quattro, signo’”. E poi, quando arriva;”Come sta’. Signo’?” Ha continuato a chiederglielo da quando l’ha rivisto, insistendo su uno scontato riepilogo dell’infortunio che la vedeva protagonista. “I crampi sono una brutta bestia, signo’’’ Si vedeva immobilizzata a qualche centinaio di metri dalla riva. Perdere conoscenza e risvegliarsi con quelli del soccorso gia’ li’ intorno ed il suo salvatore scomparso. “Era giovane, signo’, biondo, sta’ li’ tutti i giorni” Poi lo segue e si aprono la strada fra corpi di bagnanti ed accessoriame da spiaggia, fino ad arrivare al tratto libero. Lei guarda in un punto sbagliato “No, signo’, piu’ a destra” E alza piano la mano indicando. “Er costume nero, li’, vicino ar canotto” “No, quell’artro, quello cor tatuaggione” “A croce, si’, e’ quello”. “Se riconosce, e’ quello  che c’ha a svasticona sur petto.”









FRONTIERA IN FIAMME

A nostro cugino, nel dubbio, abbiamo sparato. Non e’ stato facile, anche perche’ parla la lingua e capivamo tutte le preghiere, implorazioni e suppliche del caso. Ad ogni modo la sua casa non c’e’ piu’. Il mortaio. E al mortaista le coordinate le abbiamo fornite noi.  C’era Gianni, ma era piu’ un conoscente, anche se ci univano anni di tribolazioni e spesso le vacche che scappavano dalla sua parte ce le ha rimandate indietro. E ci ha offerto il vino ed il pane fresco. Pane XXXXese, certo, ma non era malaccio. Poi la questione dei suoceri. Stanno su di una cavolo di propaggine che non e’ proprio terra di nessuno, ma ci vorrebbe la cartina ufficiale e super dettagliata per inquadrarne l’appartenenza. Il dialetto e’ il medesimo, ma non vuole dire niente. Ci somigliano. Tutti ci assomigliamo, ma occorrono discriminanti e bisogna pensarci in poco tempo.
Lo zio ci assedia. E’ stato XXXXno per tanto tempo, poi nemmeno noi sappiamo cosa e’ diventato. Porta vestiti strani. Ci ha prima telefonato dicendo che di uniformi non ne vuole sapere. Potevano anche esserci sottintesi inviti alla fuga, ma non ne sono sicuro. Siamo rimasti, ma lo spirito non e’ dei migliori. Dicono che stiamo vincendo. Che e’ questione di mesi e a primavera potremo scendere ai pascoli, e saranno tutti nostri. Speriamo sia vero. Speriamo sia vero.

PRIMA DELLE VIGLIACCHE CURVE
Una pattuglia della stradale sul ciglio della carreggiata, poco oltre la buca “del carrozziere”. Sistema di puntamento laser. Autovelox. Etilometro.Rilevatore di manchevolezze in genere. Due cani annoiati che fissano l’asfalto. Prego rallentare, senza dare nell’occhio. Appellarsi all’anonimato, ma non troppo. Il parabrezza sporco, ma non troppo. Scali di marcia. Sei in ritardo. Avresti potuto partire prima. Avresti dovuto rimuovere quell’adesivo.
Ci si insinua nella strozzatura dei LAVORI IN CORSO - da due anni-, tenendo un po’ la sinistra. Si attraversa il tratto sconnesso ostentando la tranquillita’ dei giusti. I cani hanno un guizzo di vita. Uno di loro abbaia all’indirizzo di un punto in lontananza, laggiu’, dove manca il guard rail. Poi sei oltre. Riscali la marcia, affronti la salita.MODERARE LA VELOCITA’. FONDO SCONNESSO.ARRETRARE IN CASO DI NEBBIA. INSIDIE.  COINCIDENZE DI CODE. SE AVANZI, A TUO RISCHIO E PERICOLO! TORNA INDIETRO. VATTENE. RIPENSACI, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI! RIPENSACI , RIPENSACI, RIPENSACI!. RIPENSACI, PRIMA DELLE VIGLIACCHE CURVE.









SUSSURRI E GRIDA

Vorrei conoscere i loro segreti. Sapere che cosa ne attanaglia le corde vocali quando squilla il telefono. Quando gli vibra l’anima. C’e’ un tempo per ogni cosa. C’e’ un tempo per ritirarsi, secedere in modo sommesso. “Si’, che c’e’?”. Ci si alza se si stava seduti. Ci si apparta. Si sussurra. “No, lavoravo, te l’ho detto, niente”.
Vorrei sapere. E’ Dio in linea?.Sono Confessioni?.
L’anima sospesa, giacente in stand by in qualche luogo remoto, progressivamente rievocata, quando ci si allontana. Quando si puo’ parlare. Sussurri, ancora. Toni camuffati e rancorosi, pieni di noia. Toni in crescendo al centro di un pomeriggio sonnolento. “Te l’avrei detto, no?”.Piovesse.

SPAVALDERIA
Ho tentato di decifrarla. Quella spavalderia. Una miscela di incoscienza ed ignoranza, forse ? Il retaggio di avi abituati ad affrontare e sopravvivere agli elementi avversi. Ti mando affanculo. Me ne frego. Guarda che non mi fai paura. Anche se sei chi sei. Che vuoi dire ? Che vuoi capire ? Lo so gia’, i problemi, la crisi. Il mondo in pericolo. Il cavolo del buco del come si chiama. Non mi frega. Nessuno puo’ permettersi. Stai al tuo posto. Non mi interessa. Ti butto giu’. Ti rompo le ossa. Il primo che mi capita a tiro. Il primo che mi rompe. Che vuoi capire ?

SENTINELLE

Abbiamo vigilato, per lungo tempo. Osservato dall’alto e con il microscopio. Disaminato, decretato e comandato alla luce del sole. E, se del caso, contrattato Ma piu’ che altro suggerito, istigato, prezzolato. Piu’ tardi, qualche volta, convinto, ammiccato, redento. Nell’ombra, nelle tenebre che avvolgono lo zelo e l’opera di chi altrimenti appare incomprensibile nelle sue azioni, e del resto il servizio di guardia e’ cominciato al crepuscolo. E dal tramonto abbiamo convintamente vigilato. Li abbiamo contati. Tutti. Ed erano tanti. Le abbiamo viste arrivare ed andarsene, le testa calde. Qualcuno l’abbiamo trattenuto. Molti altri respinti. Tantissimi annichiliti. Indotti alla ritirata, alla fuga inconsapevole. Conosciamo l’efficacia della coercizione ben applicata. Ma ancor piu’ della lusinga. Valutiamo, decidiamo. Ne parliamo fra noi. Di cosa e’ meglio fare, di volta in volta. E siamo menti aperte, accettiamo contributi. L’apporto degli Stati, delle Associazioni, dei sindacati, financo. Adoriamo il buon senso, la rassegnazione, l’isolamento. Non temete la nostra presenza. Noi non vi consideriamo numeri. Noi tuteliamo la vostra individualita’. Vi ascoltiamo, quasi sempre. E vi pubblicizziamo, oggi, all’occorrenza.





ANGELO

Non c’e’ ne’ per nessuno, oggi, lo sai ? Inziata male,finita peggio la giornata. Disapprovazione, additamento e saetta. Dieci capannoni incendiati, due fabbriche lesionate, un club e decine di bar ridotti in cenere. Per menzionare solo la periferia. E in centro citta’ il caos. Quartieri allo sbando, uffici distrutti. Campane, sirene e lampeggianti. Turni di straordinario per le forze dell’ordine e i soccorritori. Trafelati, sudati e atterriti, gli operatori, si aggirano sulle macerie, intervengono qua’ e la’, senza riposarsi un secondo. E di dormire non se ne parla proprio, oggi. Li chiamano in un luogo, tamponano un’emergenza e sanno gia’ che dovranno correre altrove, nel giro di pochi istanti. Atterriti. Tutti. Affamati e sporchi, quasi confusi, nell’ombra della sera, con le colonne di profughi, le fila dei sopravvissuti. Il buio sarebbe sceso come una benedizione, si diceva. Al buio non ci avrebbe visto, si pensava. Ma e0 ancora li’, volteggia sopra la citta’, osserva, scuote il capo e poi ci da’ dentro, con la risolutezza di un bambino nel pestare le formiche. Le tenebre non arrestano le sue azioni, la fievole luce della luna non attenua la sua determinazione. Con lo svantaggio, per noi, che non lo si  avvista proprio. E il cruccio di poter solo aspettare, soggiacere alla roulette russa, pregare. Sapendo che non vi sara’ tregua. Immaginando il peggio. Sollevando lo sguardo inutilmente verso il soffitto, il cielo, il Creato. Implorandolo di smettere. Supplicandolo di andarsene, di lasciarci in pace. E maledicendolo, per sempre.
























COMUNIONE

Ne ha gia’ snocciolate una ventina, di domande, e siamo solo a meta’tragitto e la cerimonia sembra ormai lontana.. E’ passato dalla storia alla geografia, dalla biologia alle cretinate sul cavallo di Napoleone. E la mamma niente. Neanche una parola. Eppure che Piero indisponga anche lei e’ certo. Che si stia chiedendo chi gliel’ha fatto fare e’ altrettanto sicuro. Forse si e’ gia’ arresa da tempo. Forse ha capito presto e da subito ha deciso di lasciar perdere. A noi, che non abbiamo nessun titolo per imporgli alcunche’, non resta che uscircene con vacue considerazioni, perlopiu’ con l’intento di spegnerne gli ardori. Ma lui non si lascia condizionare.Non reagisce.. E di nuovo Austerlitz, Waterloo, l’Impero Turco, Bisanzio, il Rio delle Amazzoni, Il Mar dei Sargassi, La Mongolia, le farfalle, le formiche, i pipistrelli, le carrucole, i vasi comunicanti, l’algebra, i volumi.Ce li ricordiamo quegli eventi ? Conosciamo ancora  i dati salienti di quegli oggetti, le coordinate di quei luoghi, i costumi e le caratteristiche di quegli animali?. Vera, a questo punto, sorridera’ soddisfatta dentro di se’, pensera’ che ce la siamo voluta. C’era il ristorante, dignitoso e tutto, vicino alla chiesa, ordinario, si’ ma anche comodo, da ogni punto di vista. Ed economico, che non guasta. Ma noi abbiamo insistito per la trattoria, abbiamo in buona fede caldeggiato l’opzione del luogo riposto e tranquillo, ancorche’ verosimilmente zeppo, oggi, di molti altri bambini. Moltitudini di infanti perlopiu’ scontrosi e chiusi in se’,e in gran parte indecifrabili, data l’eta’. Venti chilometri, ma sembrano duecento. Scalo di marcia e supero il semaforo mentre la vocina continua a chiedere, a menzionare. Bravo, sai ? Proprio bravo. Ma nessuna carezza per te. Potrai rimpinzarti di patatine, sciegliere la pizza come cavolo vuoi, stramazzare a terra ridotto ad un involucro, ad una cialda piena di pan di spagna e di gelato. Nessuno sentira’ la tua mancanza. Non mancherai a nessuno. Proprio no. Un altro incrocio, un autovelox, il dare precedenza e un’altra curva. Ma poi ci siamo arriva il rettilineo, spoglio di tutto, asfaltato di fresco, privo di segnaletica, dossi, cartelloni pubblicitari. Solo cespugli ai bordi della pista e prati e alberi e campagna, la campagna di una volta. Per una volta posso dare gas, quasi affondare il piede, filare sul nastro nero e sentirmi libero dal mondo, dai miei pensieri, libero dalla sua voce. Poi inchiodo.Punto le braccia sul volante. Fisso le loro espressioni interrogative e proclamo: “Devo pisciare”.

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