giovedì 13 gennaio 2011

ALTRI RACCONTI 1

PULCINI DA ALLEVAMENTO

Li osservo, talvolta, la sera. Alla luce un po’ asettica e un po’ mesta dei riflettori. Il piu’ grande avra’ dieci anni. Ciascuno con la maglia della sua squadra. Maglie povere, alle volte poco dissimili, prive di stemmi ed emblemi, ma non importa, basta il senso di appartenenza, lo spirito di gruppo, del proprio gruppo. Giocherebbero a lungo per i fatti loro, ci scommetto, con la fantasia e l’immaginazione a regolare i loro gesti. Gesti avventati, magari, Pericolosi, forse. Ma ci sono i grandi. Certe sere le squadre che giocano o si allenano sono piu’ di due e allora gli adulti, mentre due diversi team sono attivamente in campo e palleggiano o si contengono il possesso della palla, si assiepano assieme ai piccoli giocatori delle altre compagini a dar loro suggerimenti e consigli. Perlopiu’ assistono a cio’ che accade in campo, prevalentemente passano il tempo a dispensare suggerimenti e gridare le solite dritte. Esortazioni. Ordini. Sento risuonare allora imperativi categorici del tipo “Passa!” “Tira sta palla!” “Corri!” “Piu’ forte, dai!”.  E quelli obbediscono quasi sempre, o quando si tratta di apprezzamenti negativi, abbozzano. E, si’, mi dico, starebbero giocando per i fatti loro, ne starebbero inventando loro di giochi. Se non ci fossero loro ad accertarsi che rispettino le regole, che non fuoriescano dai margini del campo.


LEZIONE

A PierLuigi

 
E’un luogo bizzarro, la terra di nessuno. Parte dalla seconda fila di banchi, la porzione vicina al muro del corridoio e si ferma alla terza, ai confini della zona impercorribile. E’ uno stato cuscinetto che si frappone fra me ed il totalmente ignoto. Nessuna regola di accoglienza, scarsa permeabilita’. Men che meno un’interfaccia o, un porto dal quale partire in esplorazione. Valgono ancora regole, si afferma ancora un labile nesso causale, sopravvivono costumi civili e decifrabili, accanto a manifestazioni selvagge ed oscure. Talvolta vi serpeggiano umori di guerra. O talvolta, come oggi,  il semplice malumore.  La Landri e la Fuoco, per esempio, e la Marti –si direbbe- contro il Tamandri ed l’Occhiobuono. Lampi di sole che arrivano dai vetri sgrassati alla meglio. Che svelano la tensione e i gesti incazzosi, anche della Mila, che spesso fa da pacere.Minacce gravi ma ridicole, ai miei occhi. “Sflaggati via, se no cavo la lama” viene intimato. “Bruciatevi via, sfighi”.
Qualcuno sgomita nel vuoto per lanciare segnali. Mimiche impazienti che l’aria dell’’aula raccoglie e contiene rattrappendosi. Nessuna valenza apparente ,invece,  nessuna facile scorciatoia offerta dal successivo mutismo dei maschi. Occhiobuono si toglie gli auricolari, incrocia le braccia e prende a guardarti come se si aspettasse qualcosa da te, un simulacro di lezione forse. Ma cosa posso insegnarti, io, che non parlo nemmeno la tua lingua ? Ti chiedo. Che possono  far finta di comunicare le mie vecchie labbra ? Senza contare che sono le dieci, ed e’ inutile iniziare ora.. Si resta in attesa dell’intervallo, prima, e poi del giro dello squalo, attivita’ alla quale assistiamo ormai muti, la terra di nessuno ed io.
Qualcuno esce, si porta in qualche anfratto che meglio ne tuteli la privacy. Guadagna luoghi a me ignoti dove compiutamente coltivare i propri interessi, condurre i propri traffici. Di ogni tipo. Quando rientra ha il tempo e la voglia di sedersi prima che alla porta bussino i poliziotti. Questa volta niente cani, stamane piu’ celerita’ nell’ispezione. Si saluta, oggi, mentre si e’ gia’ a meta’ del giro, mentre si capisce che anche stavolta non si trovera’ nulla. “Tutto negativo, prof.””A domani, prof”. Ma io li sento appena, li saluto per riflesso. Sono in ascolto di altro. A quest’ora si sara’ svegliato, penso. In questo momento stara’ facendo colazione.Immagino la superficie del croissant che va sbriciolandosi, i piccoli frammenti che cascano sulla barba bianca, il caffe’, forse, o il the’. I pensieri rumorosi, il plusvalore. Fumava il sigaro ? Non ricordo, Ma ce lo vedrei bene ad afferrarne uno e portarselo dietro, alla scrivania. E’ un omone, Carlo, e quando cammina si sentono risuonare i passi al piano di sopra. Procede per un po’, avanti e indietro , all’interno del suo studio, lungo le sale dismesse del terzo piano. E, come ogni mattina, senza ormai alcuno sforzo, intravedo la polvere bianca dell’intonaco distaccarsi dal soffitto, ad ogni suo passo, piovere sull’aula. Forse anche quelli della seconda e terza fila vedono qualcosa, percepiscono remotamente il fenomeno. Sta di fatto che succede. E mi rende felice. E mi fa restare seduto a godermi il sole e pensare ai fatti miei, e sorridere, mentre la neve scende, il talco offusca per un po’ la limpidezza dell’aria, la polvere si deposita sui miei panni antiquati, sui miei capelli gia’ bianchi. Nessuno mi sta guardando, nessuno mi presta attenzione, ma se lo facesse, ora, forse mi vedrebbe .

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