martedì 11 gennaio 2011

RACCONTI

NON PENSARCI

Non pensarci, cuore mio. Anzi non pensare proprio. Te lo avevo già detto no, mia stella ? E il suggerimento non e’ stato spontaneo, hai dovuto insistere ed insistere, puntare i piedi a lungo, mia cara. Volevi un consiglio. E te l’ho dato. Come ? Il paesaggio dici ? Quello laggiù, dove il bordo del mare fiancheggia il rosso spento del crepuscolo ? In quella direzione , intendi, la marina tratteggiata da un pittore cieco che confonde quei pochi colori messigli a disposizione ?  Lo strato sfilacciato di quelle pretese nuvole ? Non riesci a contemplarlo, semplicemente ? Non riesci a beartene e basta?  Certo, e’ giusto. Ti devi sforzare, come in ogni cosa. Come in ogni pratica, quando si e’ alle prime armi. Sforzati, fallo per te. Lascia che prevalga il silenzio, fai tabula rasa, considera, se vuoi, solo l’incanto più apparente del dipinto. Non perdere la testa, non farti trasportare, spoglia la tua mente, rendila un deserto. I deserti raramente si animano. Considerala un oceano spento e desolato, un ritaglio di cielo grigio. Non lasciare che si screzi, non lasciare che i bordi si sfrangino. Cosi’, cosi’, brava. Non pensarci, non pensarci, non pensare.

IMMAGINO
Arranchiamo per il pendio, per il sentiero ai margini del bosco illuminato a giorno dai fari dei fuoristrada. E sobbalziamo e ci torciamo ad ogni svolta,ad ogni aspra gobba del terreno, ad ogni tormentata deviazione, in una marcia che  sembra veloce ma e’solo per la fretta che abbiamo di sottrarci all’ostilita’del luogo. Afferro a piu’ riprese il volante e poi lo abbandono repentinamente,  come agendo sul morso di un cavallo immaginario, visto in qualche film. E cerco di localizzarli li’ intorno, li’ in basso quei maneggi che mi e’ stato concesso intravedere, qualche volta, nei miei giri in auto. Lui,che non ha l’incombenza della guida continua imperterrito a ridisporre gli oggetti, a stiparli nei vani del cruscotto borbottante. Inutilmente. Riordina, si da’ forse un’aria, sottraendo lo sguardo ai multiformi sentieri, alle radici esasperatamente  contorte che affiorano dal bosco e  paiono messe li’ a bella posta, al solo scopo di incupire di  piu’ lo scenario che ci circonda. Scuri intrecci di rami, uccelli notturni appollaiati chissa dove, volpi sonnolente. Buio, buio, buio. Avrei desiderato non parlarne, avrei  voluto neanche sfiorare neanche certi argomenti, e l’evoluzione della nottata decreta quanto avessi ragione. E sto per aprire bocca, sto per condividerli con te questi pensieri scossi dal rollio dell’automezzo, quando le luci degli stop delle auto che ci precedono illuminano il corridoio di terra accidentata e giallognola lungo il quale procediamo. Stavamo per fare retromarcia, ti ticordi ? Avevamo entrambi simulato che quel bivio rappresentasse il luogo oggetto della segnalazione, stavamo per rientrare dopo un giretto a piedi,  compiuto piu per soddisfare i nostri bisogni  che per convincerci   dell’esattezza del luogo, confortati, nella forma,dalla segnaletica scarna, dalle indicazioni ambigue. I paletti in legno, la sommita’ trafitta dalla freccia riportante i nomi – sommariamente scolpiti- e fors’anche, a poterle scorgere,  le distanze chilometriche o espresse in termini di ore come si suole in montagna. E poi ci hanno raggiunto, le due jeep. Il tipo ce l’ha detto chiaro che stavamo prendendo un granchio, che magari fosse cosi’ vicino il luogo, tirandoci in quel caravanserraglio di imperiosa tristezza. E’ tardi adesso per rifletterci su. Non serve sbattergli in faccia l’inadeguatezza del veicolo,l’improbabilita’ dell’evento prospettato, le incombenze che ci attendono giu’ a valle.  Ci tocca prestargli attenzione, al capo carovana,che si avvicina a piedi per dirci che “non e’ ancora qua”, che cani continuano a latrare, puntando in direzione della sommita’ del monte. C’e’ una radura, precisera’,  la baita e’ laggiu’. Bisogna fare in fretta, non c’e’ tempo da perdere, ribadisce con le mani sui fianchi, il piglio paramilitare, prima che il convoglio lo  riassorba. Ci sembra di sentirli i cani, subito dopo,  scrutiamo le  carabine ordinatamente sistemate nel retro dei fuoristrada . Ripartiamo. Ma lo  rivediamo presto il tizio, sporgersi fino al bacino dal portello dell’auto,  sbracciarsi e puntare l’indice all’insu’ e ripetere “Li’ sopra, dai dai! Piu’ in fretta! Dai dai, andiamo andiamo, subito, subito!” Lo fissiamo, alla luce di quel palcoscenico, contempliamo la sobria risolutezza della sua figura, ci appuntiamo i pochi particolari della tenuta mimetica e riprendiamo l’arrampicata, sapendo che non ci sara’ nessuna sosta, nessuno spiazzo, nessun prato ad attenderci. E per un attimo quasi incrociamo i nostri sguardi, incrociamo le nostre vite. Faremo del nostro meglio, pensiamo,  faremo quanto si puo’. Veloci. Veloci.

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